Reima Pietilä: la via finlandese alla modernità – “La Rondine”

giovedì, 24 giugno 2010

Reima Pietilä (Turku, 25.8.1923 – Helsinki, 26.8.1993) è un protagonista insieme tipico ed atipico dell’architettura europea del secondo dopoguerra.
Nella sua opera sono presenti, infatti, molti dei tratti peculiari della cultura architettonica ed artistica degli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche elementi di marcata discontinuità con essa e di notevole originalità rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi.
Perfettamente inseribile nel contesto artistico finlandese contemporaneo, Pietilä è per altri versi notevolmente distante da questo e severamente critico nei suoi confronti. Per comprendere a fondo il suo pensiero e la sua architettura è necessario indagare a fondo questo dualismo. Né modernista, né tradizionalista, non internazionalista, ma neppure localista ad oltranza, non esclusivamente teorico colto e distaccato, né solo pragmatico architetto-artigiano. Nella sua complessa personalità trovano spazio tutte queste caratteristiche in una sorta di originale sintesi.

Quando, nel 1960, Pietilä apre il suo studio ad Helsinki insieme alla moglie Raili, che sarà sua compagna di vita e di lavoro per oltre 30 anni, è reduce dall’esperienza con il gruppo Le Carrè Bleu ed ha sperimentato la stretta vicinanza con la fascinosa personalità di Aulis Blomstedt, l’architetto finlandese che più di tutti avversa la posizione dominante di Alvar Aalto in questi anni. Da questa intensa esperienza intellettuale scaturisce, oltre ad una lunga serie di scritti, il suo primo importante progetto, quello per il Padiglione finlandese alla Fiera Mondiale di Bruxelles (1958).
Nell’analizzare il successivo percorso professionale di Pietilä è evidente la tensione morale che lo anima quando si scaglia, ad esempio, contro la “metodologia semplice e standardizzata del disegno” (C. Benincasa, Il labirinto dei Sabba. L’architettura di Raili e Reima Pietilä, Bari, 1979, pag. 22), contro i tentativi di banalizzazione e riduzione in formule dell’architettura e contro ogni freno alla sua naturale evoluzione, allo scopo di sgomberare “il ghiaccio che ostacola l’avanzata dell’architettura” (C. Benincasa, op. cit., p. 89). Pietilä è convinto, infatti, che la creazione architettonica debba sgorgare in maniera spontanea dalla mente del progettista, non filtrata da rigide regole o da condizionamenti di sorta. Il progetto, così, guidato dall’istinto e dalla sensibilità, comincia a prendere forma attraverso successivi e numerosissimi schizzi, crescendo a mano a mano come un feto nel grembo materno. Solo successivamente, nella sua fase evolutiva, il disegno richiederà un’accurata verifica in base a regole precise, relativamente alle richieste della committenza o del bando di concorso, dalla distribuzione funzionale ai dettagli costruttivi. Tra le fonti d’ispirazione di questo processo progettuale nessuna può essere esclusa. Dall’analisi del contesto ai richiami storici, dalle riflessioni geometriche alle suggestioni filosofiche, tutto confluisce nella mente del progettista che partorisce l’idea architettonica.
Questo approccio avvicina Pietilä alle tendenze dell’ Informal Art ed alle teorie architettoniche organiciste e neo-espressioniste e lo allontana nel contempo notevolmente dal neo-funzionalismo in voga in Finlandia in quegli anni e da lui ritenuto ostacolo alla libera espressione artistica dei giovani progettisti, costretti a muoversi all’interno delle sue rigide regole: “La prima cosa da farsi è di liberare la mente in modo da poter vedere i limiti dell’atteggiamento funzionale (…) con una chiara visione di una nuova sintesi possiamo apportare alla nostra teoria e alla prassi del disegno quelle correzioni e quei riorientamenti (…) che ci condurranno ad un approccio più globale” (C. Benincasa, op. cit., p. 58). Questa nuova architettura dovrà essere “indivisibile dalla natura” e “contestuale con la cultura, con la sua crescita e la sua sopravvivenza” (C. Benincasa, op. cit., p. 59).
Zevi vedrà fin dagli esordi in Pietilä uno dei migliori interpreti del suo concetto di grado zero dell’architettura, soprattutto nel Centro studentesco Dipoli, ad Otaniemi (1966), dove si aggregano “segmenti edilizi secondo tecniche ed umori disparati, proprio come accadde durante l’Alto Medioevo”( C. Benincasa, op. cit., p. 7). A poche decine di metri dagli austeri edifici in mattoni del Politecnico di Aalto, Pietilä realizza un non edificio, all’apparenza casuale nelle sua straordinaria sinfonia geomorfica, un’ “architettura intervallare” (V. R. Connah, Reima Pietilä. Centro Dipoli, Otaniemi, Torino, 1998, pag. 26), mimetica, che “volge le spalle al XX secolo e guarda verso il X” (R. Pietilä, Literal morphology, in Arkkitehti, n.9, 1967), per usare le parole dello stesso Pietilä. Dopo aver già dato prova della forza e dell’originalità delle sue idee con la Chiesa di Kaleva, alla periferia di Tampere (1966), un edificio che unisce sapientemente leggerezza e monumentalità, Pietilä realizza dunque ad Otaniemi quello che è unanimemente ritenuto il suo capolavoro e che rimarrà l’architettura maggiormente rappresentativa della sua poetica.
I lavori degli anni successivi confermano l’atteggiamento del progettista finnico, costantemente impegnato nella sperimentazione e nella rielaborazione del linguaggio. Si cimenterà con le esperienze progettuali più diverse, dal Complesso residenziale Suvikumpu (1969), per la nuova città di Tapiola, al piccolo Atelier Särestoniemi, in Lapponia (1973), fino alla Sauna Hvittrask (1975), realizzata all’interno della casa-museo di Saarinen, Gesellius e Lindgren a Kirkkonummi. Per non parlare delle esperienze progettuali all’estero, che consentiranno a Pietilä di aprire il suo linguaggio ad altre suggestioni e di mettere alla prova la sua sensibilità in una complessa e delicata operazione di sintesi. Maggiormente influenzato da tecniche e forme desunte dalla cultura locale sarà il progetto per gli edifici della Sief Palace Area, a Kuwait City (1983), per cui riceve l’incarico a seguito di un più ampio concorso per la sistemazione del centro storico della capitale araba. Più spiccatamente finlandese, per ovvie ragioni, risulterà invece l’architettura dell’Ambasciata di Finlandia a New Delhi, in India (1985).
Di grande interesse per seguire l’evoluzione delle teorie compositive di Pietilä e della sua ricerca morfologica saranno la sua attività didattica, i numerosi e provocatori scritti, le conferenze che terrà e le mostre che organizzerà in questi anni, oltre ad alcuni dei progetti non realizzati, dal quartiere Marsta-Valsta, presso Stoccolma (1961), una prova generale per il complesso Suvikumpu, al Centro Ricreativo a Montecarlo (1969), in cui lo spiccato zoomorfismo crea un precedente per le bizzarre forme della Biblioteca di Tampere.
Dopo un lungo periodo dedicato principalmente ad approfondimenti teorici, che coprirà all’incirca tutti gli anni Settanta, Pietilä torna a confrontarsi con edifici di grande scala con il Centro Hervanta (1979) a Tampere, in cui sperimenta le potenzialità plastiche del mattone, con la ricostruzione della Chiesa di Lieksa (1982), che impone il difficile confronto con l’eredità neoclassica di Carl Ludwig Engel, e con la Biblioteca Municipale di Tampere (1986), dove l’ispirazione zoomorfa riprende il sopravvento per determinare un’architettura espressiva, di grande impatto visivo, ma nel contempo di notevole funzionalità e correttezza distributiva.
La carriera di Pietilä, che si apre definitivamente al volgere degli anni Sessanta con il Centro Dipoli, si chiude con un’architettura altrettanto prorompente, come la Residenza Ufficiale per il Presidente della Repubblica Finlandese a Mäntyniemi, presso Helsinki (1993), presentata al concorso con il suggestivo nome di “mica moraine”, ad evidenziare la sua ricercata naturalità. Qui lo straripante espressionismo di Dipoli risulta in qualche modo domato dall’esperienza, a determinare un’architettura delicata, ma possente, quieta, ma a suo modo fortemente simbolica. Mica Moraine è un edificio che si adagia nello splendido paesaggio finlandese “come una collana di perle” (V. M.. Quantrill, Reima Pietilä: form follows approach, in Finnish architecture and the Modernist tradition, London, 1995, pag. 164) con il suo andamento sinuoso, e si inserisce alla perfezione nella natura con i suoi materiali naturali. Una ideale sintesi di ciò che Pietilä era andato perseguendo per una vita, un’architettura autenticamente moderna, ma capace di dialogare con il paesaggio ed inserirsi in esso con discrezione.
Il progetto per la Residenza del Presidente può essere letto come una sorta di testamento artistico, la chiusura ideale di un percorso. L’incarico di realizzare quest’edificio è un riconoscimento alla carriera di Pietilä, un premo a colui che più di ogni altro collega aveva saputo trovare una via finlandese alla modernità, similmente a quanto fatto da Aalto nei decenni precedenti. Se c’è un filo che lega la ricerca e l’opera dei due progettisti, infatti, questo sta proprio nell’atteggiamento tenuto nei confronti delle teorie e dei movimenti internazionali, alla ricerca di una possibile reinterpretazione in chiave nordica, per inserirli al meglio nel delicato contesto ambientale, storico e culturale del loro paese. Il rapporto di Pietilä con l’eredità di Aalto sarà complesso, influenzato dal diffuso clima di ostilità dei giovani progettisti finlandesi verso il vecchio, ormai accademico maestro. Ma, nonostante ciò, è facile ritrovare nelle sue architetture riferimenti più o meno evidenti alla metodologia ed alla poetica di Aalto e nei suoi scritti analisi approfondite ed appassionate del suo lavoro.

A più di dieci anni dalla scomparsa di Pietilä, è finalmente possibile tracciare un bilancio del suo lavoro e del suo insegnamento, liberi dai condizionamenti dell’immediata attualità. Oggi è consultabile, grazie alla disponibilità della signora Raili, vedova di Reima e sua collaboratrice di una vita, lo sterminato archivio di schizzi e disegni originali, ancora custodito nello studio di Helsinki, ma donato di recente al Museo d’Architettura Finlandese.
Lo schizzo è il nocciolo della metodologia progettuale di Pietilä, il mezzo attraverso il quale le idee sgorgano e si fanno architettura, il tramite tra pensiero architettonico e realtà. La consultazione dell’archivio permette di analizzare questo processo progettuale fin dai primi stadi evolutivi, operazione indispensabile per ripercorrere a ritroso il cammino dall’architettura all’idea originaria, contenuta nel primo schizzo, in cui sono già presenti tutti i caratteri dell’opera compiuta pur se espressi in un linguaggio ancora criptico e magmatico.
Passando una giornata nell’archivio Pietilä sembra di percepire ancora il rispetto e l’attenzione e la dedizione con cui i progettisti lavoravano, il loro atteggiamento da “cacciatori di animali selvatici che si muovono con circospezione nella foresta alla ricerca della preda” (Raili Pietilä, intervista rilasciata all’autore nello studio Pietilä a Helsinki nei giorni 11 e 15 Settembre 2003). E’ qui, in mezzo a tavoli e scaffali traboccanti libri e riviste di ogni genere, che si sviluppavano le idee, che si confrontavano i punti di vista, che nascevano i progetti. Che si dipanava, in sostanza, quel magico percorso dallo schizzo all’architettura.

Andrea Nastri

Pubblicato su: La Rondine – giornale di attualità e cultura italiana in Finlandia

Tags: , , ,